
Sarà capitato a tutti di avere in casa un famigliare malato e di chiedersi come poterlo assistere nei migliori dei modi soprattutto se non risulta in grado di intendere e di volere.
Come ben sappiamo oggi i medici hanno l’obbligo di illustrare al paziente le reali condizioni di salute ovvero: situazione clinica, terapie necessarie ed eventuali percorsi alternativi, conseguenze sia positive che negative delle terapie consigliate ed i rischi a cui il paziente andrebbe incontro qualora rifiutasse il percorso terapeutico. Una volta elencate le terapie da seguire o gli esami diagnostici da effettuare il medico ha l’obbligo di ricevere dal paziente il consenso espresso, in assenza del quale non è possibile iniziare alcun tipo di terapia/esame.
A questo punto, sorge spontanea una domanda: “se il malto è incapace di intendere e di volere chi presta il consenso al trattamento sanitario”?
Rispondiamo al quesito con una situazione comune a molti ovvero il genitore anziano con problemi cognitivi. In questo caso verrebbe in automatico rispondere che la decisione spetta ai famigliari, saranno loro a decidere in nome e per conto del paziente le terapie da intraprendere.
In realtà è assolutamente errato, poiché la legge non consente ai parenti un potere decisionale vincolante per il medico. I famigliari, infatti, possono esprimere il proprio consenso solo nel caso in cui il paziente abbia manifestato tale scelta ai sanitari o nel caso di espianto degli organi post mortem: sempre se il soggetto deceduto non ha indicato, in precedenza, le proprie volontà in merito. Pertanto nessun parente potrà prendere decisioni in sua vece se questi non viene dichiarato incapace di intendere e di volere.
Per tali ragioni si consiglia sempre di ricorrere alla nomina di un Amministratore di sostegno o di un Tutore legale.
La prima figura (art. 404 c.c.) ha il dovere di tutelare coloro che seppur maggiorenni risultano parzialmente impossibilitati a manifestare le proprie volontà ed a provvedere alle proprie necessità a causa di disabilità mentali. L’Amministratore pertanto non si sostituirà al paziente ma lo consiglierà e si farà portavoce delle proprie volontà anche nell’ambito sanitario: sempre se tale potere sia espressamente indicato dal Giudice tutelare al momento della nomina.
La seconda figura (art. 414 c.c.) invece tutela coloro che seppur maggiorenni risultano incapaci di intendere e di volere ovvero impossibilitati a provvedere alle proprie esigenze sia ordinarie che straordinarie. In questo caso il medico illustrerà comunque al paziente la situazione clinica tuttavia sarà il Tutore ad esprimere il consenso al trattamento sostituendosi al paziente.
La nomina di un Tutore o di un Amministratore renderà più agevole il controllo e l’amministrazione del patrimonio nonchè gli aspetti sanitari del proprio famigliare. Si ricorda inoltre che la figura di Tutore e Amministratore può essere svolta anche da un famigliare.
Riferimenti normativi:
art. 32 Costituzione ” nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
art. 5 Convenzione di Oviedo 1997 “un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato”.
art. 6 Convenzione di Oviedo 1997 “quando, secondo la legge, un maggiorenne a causa di un handicap mentale, di una malattia o per un motivo similare non ha la capacità di dare consenso ad un intervento, questo non può essere effettuato senza l’autorizzazione di una persona o di un organo designato dalla legge.”